EVENTIIN PRIMO PIANOMONDOLFO

Come eravamo, sabato a Mondolfo un tuffo nel passato per raccontare la storia del territorio

Come eravamo, sabato a Mondolfo un tuffo nel passato per raccontare la storia del territorio

MONDOLFO – Sabato a Mondolfo, nel comoplesso monumentale di Sant’Agostino, avrà luogo un importante appuntamento per conoscere meglio il passato della città. Di grande significato il titolo dell’inizativa (Come eravamo) organizzata da Germano Carboni, Mario Tarini e Spartaco Andreini. Un progetto nato dalla raccolta e dal restauro di  una moltitudine di foto e filmati storici del territorio mondolfese.

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La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta. In ogni caso molti anelli non tengono”, così il saggio cantore della malinconia cosciente Eugenio Montale apriva una sua celebre poesia, composta proprio a metà degli anni sessanta.

E’ vero: i periodo storici non sono mai definiti in rigidi ambiti temporali, ma si avvalgono di una naturale proprietà dilatante che meglio sottolinea e chiarisce la sfera socio-culturale in cui sono nati e si sviluppano.

I favolosi anni 50’ e 60’ quindi, coprono un arco storico più ampio, andando grosso modo dall’esplosione del fenomeno rock (1957, con una celebre tavola di Walter Molino sulla prima pagina della “Domenica del Corriere”), al manifestarsi di quei cupi e dolorosi anni che vengono definiti di piombo (1969 e seguenti). Ripercorrere quei tempi, lontani nella storia ma assai prossimi nella mente di chi li ha vissuti, vuol dire aprire i cassetti della memoria alla ricerca di immagini e sensazioni da condividere e da offrire alle generazioni più giovani.

La chiave di lettura da adottare per analizzare quegli eventi non deve essere di tipo passatista, non deve cadere nel trappolone di una nostalgia mielosa, perché noi non dobbiamo incarnare figure patetiche di lodatori del tempo antico quanto, invece, sentirci dei “diversamente giovani” calati nella caotica realtà del presente.

Per evitare il pericolo della nostalgia canaglia, non resta che guardare al passato attraverso una speciale lente di ingrandimento che contenga generosi anticorpi di ironia ed autoironia…

E andiamo a cominciare la nostra fantastica , e forse un po’ folle, retrospettiva su quella che fu la nostra Belle Epoque:

SOGNATORI DI BELLE SPERANZE E DI MAGNIFICHE SORTI
Non avevano le cuffiette sulle orecchie, né lo smartphone (però i selfie ce li facevamo lo stesso, con la Polaroid) i piercing o i tatuaggi, eppure mangiavamo la nostra gioventù a grandi morsi. Avevamo fame di tutto, voglia di capire, di scoprire i misteri dell’esistenza. Con in tasca poche lire, con nel cuore una certa tristezza gioiosa e con in testa molta fantasia, così affrontavamo il nostro micro mondo, invasi da astratti furori, forti solo di quella istintiva forza di sperimentare la vita che a noi pareva coraggio, ma che era solo incoscienza giovanile.

Spensierati ma non troppo, sempre spinti da quel motore mobile che è la curiosità, eravamo tutti abili navigatori, non nell’allora sconosciuto mare di internet, ma nella capacità di sopravvivere nei perigliosi flutti della modernità incalzante.

Nostra musa ispiratrice fu l’arte di arrangiarsi, quel salvifico istinto a fiutare piste praticabili e nuovi umori defluenti dal più emancipato nord, quando non dalle lontane terre straniere, Usa ed Inghilterra in primis. A casa, le convenzioni e l’educazione ci obbligavano a percorrere binari abbastanza obbligati. C’erano infatti le famose regole domestiche, gli orari di uscita e di rientro (le ventidue per i maschi, le ventuno per le femmine, salvo nulla osta speciali rilasciati dall’autorità paterna in caso di festicciole).

Inoltre i nostri genitori pretendevano sempre la nostra puntuale presenza a tavola. In caso di ritardo o assenza, alto si levava lo sdegnoso, proverbiale grido materno: “Questa casa non è un albergo!”.

Si pranzava e cenava in cucina. La sala da pranzo era riservata alla domenica e alle altre feste comandate.

Io ero addetto a sciogliere la busta dell’idrolitina del cav. Gazzoni nella bottiglia d’acqua di rubinetto che, come per miracolo, diveniva subito frizzante. Prima dei sedici anni non venni ammesso né al vino né tantomeno al caffè.

Nelle abitazioni dotate di telefono, il nero apparecchio veniva in genere installato a muro, all’ingresso, anni dopo era spesso duplex e quasi sempre dotato di un bel lucchetto blocca disco. (Roba che, a farlo oggi, farebbe subito scattare una denuncia a telefono azzurro per maltrattamenti e abuso di mezzi di correzione).

Il fatto è che a quell’epoca, non molto lontana dal dopo guerra, vigeva il culto del risparmio.

Non si buttava via nulla.

Quando mia madre mi confezionò un elegante Principe di Galles per la cresima, lo preparò con l’opzione di poterlo modificare. “Tanto il ragazzo cresce presto”, fu la laconica giustificazione della responsabile dell’economia domestica. Le mamme ascoltavano la radio sferruzzando nel tinello (oggi si chiama soggiorno), mentre i papà leggevano la Gazzetta o facevano i cruciverba della “Settimana Enigmistica”.

Noi passavamo l’intero pomeriggio in camera, a fare i compiti, orfani persino della radiolina che la premurosa mammina aveva già provveduto a sequestrare per non indurci in tentazione.

Ma poi, finalmente, arrivava l’ora della libera uscita: un lavaggio rapido (la doccia tutti i giorni ce la potevamo scordare), una spazzolata ai denti col “Binaca”, una lavata a mani e viso col sapone “Zignago”, un po’ di “Linetti” sul ciuffo e via verso la libertà.

E’ fuori che ci esercitavamo nell’anticonformismo e nella ribellione, assumendo linguaggi e modi da teddy boys, scandalizzando così le vecchie signore e le brave ragazze dell’Azione Cattolica. Si andava subito a fare una gara a Flipper, poi si girovagava a zonzo, spesso a caccia di ragazzotte compiacenti (piuttosto rare in verità).

E cominciò a soffiare il vento di una nuova cultura………

Mentre la generazione dei nostri fratelli più grandi aveva subìto l’influenza culturale francese, piena di suggestioni intellettuali esistenzialistiche (Camus, Sartre, Prévert, Greco), noi sentimmo il nuovo vento della beat generation che proveniva dagli Sati Uniti, e ci innamorammo subito di quei malinconici cantori che proponevano struggenti ballate aventi per tema la natura, la libertà, l’amore… Bob Dylan e Joan Baez, con il loro spleen ecumenico, rappresentarono le colonne sonore per noi adolescenti in cerca di idoli di riferimento, e la scoperta di quella musica fu il naturale pendant alle nostre furiose letture di autori americani, scelti per soddisfare l’insaziabile sete di scoprire il mondo, ma anche per reazione alle letture canoniche che la scuola ci imponeva.

Stanchi di certo Foscolo, di certo Manzoni e di tutto Carducci.

Noi negli anni ’60 leggevamo Pavese e il sempre verde Prévert, il maudit che cantava Barbara, la pioggia su Brest , le foglie morte e l’amour tout court. “Questo amore” fu il nostro inno dell’adolescenza, lo imparavamo a memoria per stupire e affascinare le ragazze, per rubare loro un bacio e una carezza.

La nostra brama di novità letterarie era continua, peregrinavamo nelle biblioteche a caccia di testi allora non facilmente reperibili, come il “Giovane Holden” di J.D. Salinger, il libro-manifesto del nuovo pensiero e del neolinguaggio giovanile, quello che poi avrebbe influenzato anche Arthur Fonzarelli (Fonzie), mitico personaggio della serie “Happy Days” andata in onda per oltre un decennio sulle nostre reti nazionali.

Noi lo leggevamo e lo commentavamo tra amici e ci chiedevamo, proprio come il giovane ribelle protagonista del romanzo “Ma dove vanno a svernare le anatre, quando i laghi sono ghiacciati?”.

Domanda pretestuosa, retorica, che abbracciava tutta la nostra santa insicurezza sui pericoli della vita e sul nostro futuro, graficamente disegnato come un grande punto interrogativo.

che c’hai ‘na fumosa?c’hai nà siga? chiedevamo all’amico amico migliore, pur sapendo che lui comprava quelle orribili “Mentolo” che erano le anti sigarette per eccellenza. Allora lui tirava fuori con delicatezza una bustina dalla tasca interna del giubbotto ce l’allungava, tutta stazzonata e un po’ storta, e l’accendevo magari con un Ronson, aspirando con voluttà, anche se quell’aroma ci disgustava.

Fumavamo Esportazioni senza filtro (anche Nazionali), ma quando avevamo una ragazza per le mani su cui fare colpo, ci buttavamo sulle Mercedes o sulle Muratti, acquistate addirittura in pacchetto da dieci perché quelle non si vendevano sfuse.

E, che dire delle pagine sottratte dallo scollacciato A.B.C. che noi sbirciavamo dal barbiere, in attesa di essere rapati (e nel frattempo restavamo arrapati).

Intanto, sul piano del costume, c’era stata la rivoluzione epocale della minigonna lanciata nel ‘65 da Mary Quant a Carnaby Street, London, e arrivata da noi l’anno seguente. Furoreggiava anche il bianco/nero dello stilista parigino Courrèges (ora tornato di moda), i pantaloni da uomo alla Celentano (zampa d’elefante), la basetta lunga e quel tipico taglio di capelli che in seguito avremmo rivisto nel ’91.

Naturalmente ci fu anche il fenomeno “Beatles”, i quattro “scarafaggi” partiti da Liverpool alla conquista del mondo. La loro era una musica sdolcinata, romantica, orecchiabile. L’esatto contrario di quella dei “Rolling Stones”, che rotolavano pietre, rock duro e concetti molto trasgressivi. Subito ci dividemmo in due schieramenti opposti, non si poteva essere allo stesso tempo fan dei Beatles e dei Rolling. Parecchie furono le litigate, poi magari si faceva pace e si andava a bere un “Peroncino” al bar.

Se si avevano cento lire e c’erano femmine intorno, allora si ciondolava verso il juke box e si digitavano brani piuttosto forti, insoliti, tanto per fare colpo sulle mammifere in ascolto.

Da  “Good Vibrations” e “Barbara Hann” dei Beatch Boys ( i più grandi vocalist di sempre), ai The Trashmen con la loro travolgente Surfin’ Bird… adrenalina allo stato puro.  Allora le giovincelle non erano proprio dei giunchi flessuosi come spesso sono ora, però avevano una caratteristica che quelle di oggi si sognano.

Erano bollenti come una stufa e in più, quando si ballava, aderivano perfettamente al nostro giovane corpo, dalla guancia alle ginocchia. Si usa dire “un maglione aderente”, beh, le femmine di quegli anni avevano un aderenza incredibile.

Non trascurammo comunque la lettura di Diabolik e di Kriminal.

Diabolik, il “re del crimine” era tutto sommato un personaggio noioso. Non faceva che rubare tesori, uccidere e infine scappare nei suoi rifugi a bordo di una Jaguar E-Type nera entrando ogni volta da un ingresso segreto (N.d.r.: a quei tempi, due erano le Jaguar E-Type nere in Italia, quella di Diabolik e quella di Alfio Cantarella, mitico batterista dell’Equipe 84).

Accanto a lui la sua donna, la biondazza Eva Kant che univa ad un nome biblico un cognome decisamente filosofico.

Ogni episodio terminava sempre con quel coglione dell’ispettore Ginko che alzava il pugno esclamando indispettito “Maledetto, questa volta mi sei sfuggito, ma la prossima…”.

Kriminal era invece “”il re del crimine”, portava una tutina a scheletro e si contornava di femmine meno algide e più sexy di Eva. Infatti indossavano biancheria intima succinta e persino reggicalze. La preferenza era quindi scontata…

Per onor di cronaca debbo aggiungere che entrambi i truci personaggi furono presi per i fondelli, rispettivamente da Jonny Dorelli ,“Dorellik” ,e da Fred Buscaglione, che in quegli anni lanciò “Kriminal tango”.

E SE PARLASSIMO UN PO’ DI STUDIO E DI SCUOLA?

Non vorrei che chi mi ha pazientemente seguito sin’ora, pensasse che a quei tempi si bighellonasse sempre, tra una partita a “Bigliardin”, una interminabile telefonata dalla cabina telefonica  e una serata al cinema (allora simile ad una fumeria d’oppio, con gente che entrava e usciva a proiezione in corso e il secco schiocco di un ceffone femmineo ben assestato sulla faccia assai tosta di un‘impenitente manomorta)

No, no, allora si studiava pure, eccome!

Quando l’ho raccontato anni fa a mio nipote, non mi voleva credere..”

Ma come nonno – mi diceva indignato- vi caricavano di compiti, dovevate studiare per cinque-sei ore e non li denunciavate per maltrattamenti?”.

Sì, era proprio così. Chiusi in cameretta, senza tentazioni, ci ingobbivamo in uno studio matto e disperato, quasi come il favoloso gobbetto di Recanati.

A quei tempi la Scuola funzionava bene, almeno fino alle prime contestazioni sessantottine. Non c’era la fiumana di progetti che ora confluisce nel grande, placido Pof . Se sapevi suonare la chitarra o il piffero, se sapevi recitare, buon per te, non c’era certo nessun credito formativo…

Non esistevano né i progetti cinema-legalità-migrazione ecc. né le assemblee studentesche a data fissa. Le ragazze erano costrette a portare un orribile, informe grembiulone nero e anche qualche professoressa lo indossava.

AVVIAMOCI ALLA CONCLUSIONE DEL LUNGO VIAGGIO…
E così siamo arrivati all’ultima curva della prima edizione del lungo percorso <m’arcord com’eravan> che ha visto il mio galoppare fantastico alla ricerca del tempo perduto e ritrovato

…anche da………vecchie polemiche  (la Gilera era più ganza del Morini?,

la vespa GS molto più scattante della Lambretta 175?

………… le ‘500 e le ‘600 Fiat, la prima col raffreddamento ad aria e col cambio non sincronizzato? A voglia! E che dire della ‘600 multipla, quell’orribile bruco brutto come l’auto dl’sòrr………aspètta, comm s’ chiamava…ah sì, la Prinz! Prò la multipla era un cess ma spazios! t’arcordi ch c’andavan al mar in sett, qualch volta in ott.!.

Sì, è proprio passato un secolo dai tempi della nostra gioventù, troppi i cambiamenti nel costume, nella società, troppi i progressi della tecnologia, ma…ma nel cuore dei ragazzi albergano sempre gli stessi sentimenti, perché le emozioni umani possono anche subire condizionamenti esterni però, nel loro nucleo, rimangono immutabili. Questa generazione che qualcuno ha immortalato con la felice definizione di “Sdraiati”, non è in fondo molto diversa dalla nostra o da quella dei nostri figli.

E se noi, garzoncelli scherzosi di allora fossimo vissuti nella liquida realtà del mondo d’oggi ci saremmo comportati forse esattamente come loro,

Staremmo anche noi tutto il dì con le cuffiette e la testa piegata sul display.

Avremmo anche noi orecchini, piercing e braccia tatuate, leggeremmo solo Hanry Potter e la sera ci faremmo qualche spinello e qualche drink, andremmo a ballare non più negli scantinati o sulle terrazze ma nei disco pub e nelle discoteche.

Ognuno è figlio del suo tempo, deve vivere la propria socialità, non può certo isolarsi in un eremitico dissenso totale. Può solo attuare le difese che scaturiscono dalla sua educazione e intelligenza, moderando per quel che è possibile comportamenti e stili di vita.

Prima o poi i ragazzi d’oggi realizzeranno il loro equilibrio e spiccheranno il volo verso la maturità e il senso di responsabilità.

E quando avranno voglia di farsi quattro risate potranno sempre ricorrere ai vecchi nonni e ai loro “pazzeschi” racconti sui favolosi anni che “Furono

…. Ma…Come Eravamo?!?.

Il progetto nasce dalla raccolta e dal restauro di una moltitudine di foto e filmati storici del territorio Mondolfese. Da qui scaturisce l’idea di farne un progetto destinato alla cittadinanza.

  • Descrizione dell’iniziativa:

La consapevolezza che le differenze generazionali sono sempre più marcate, che la perdita di antichi saperi da una parte e l’avanzare delle nuove tecnologie dall’altra tendono a porre distanze quasi incolmabili tra generazioni, tra passato e futuro.

Lo scopo del progetto è quello di valorizzare il ruolo dei nonni e dei genitori in quanto radici e custodi delle nostre vite, memoria del passato e origine di ciò che siamo. Essi infatti rappresentano “libri parlanti” ricchi di valori, saperi e abilità tecniche da condividere con altre generazioni, distanti nel tempo. Ascoltare le storie di una volta che non sono scritte su nessun libro, ascoltare e recitare filastrocche e canzoni di una volta, come si giocava un tempo, come si costruivano i  giocattoli di una volta,“lavoretti” legati alle varie tradizioni o semplicemente il divertirsi suonando e ballando, recitando anche in dialetto, costituiranno momenti significativi di dialogo intergenerazionale e consentiranno di scoprire l’importanza del passato per leggere il presente.

Con il progetto si vorrebbero raggiungere alcuni fondamentali obiettivi: valorizzare il dialogo intergenerazionale e il ruolo della memoria storica attraverso il recupero della relazione con i nonni e i genitori; considerare la diversa età una ricchezza; favorire la maturazione di una mentalità civica; favorire e sviluppare le capacità di socializzazione e di cooperazione della popolazione; potenziare e valorizzare ogni individualità nelle diverse capacità comunicative; favorire la conoscenza degli usi, costumi e tradizioni enogastronomiche; rafforzare la propria identità culturale nel rispetto di quelle altrui; intensificare e/o migliorare il rapporto tra istituzione, famiglie (comunità) e le associazioni presenti nel territorio locale; fornire un contributo alla formazione della personalità dei giovani e dei bambini.

Un evento per poter  rivivere uno scorcio di vita della metà del ‘900 grazie alla proiezione di filmati e galleria  fotografica, intervallati da musiche proposte Live, da alcuni musicisti storici di Mondolfo, da alcune specialità tipiche del nostro paese. Il tutto  in uno spazio dove la scenografia del centro storico non smette mai di incantare.

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Titolare del progetto prof. Germano Carboni – 39349 848 8977 – drummer2studiorecord@gmail.com

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